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lunedì 18 febbraio 2013

Nel giro di un mese dal sogno pensione all’incubo senza fine

«Nel giro di un mese dal sogno pensione all’incubo senza fine»
di Giorgio Carlini wLIVORNO «Avevo maturato un diritto. Mi è stato tolto. Per la Fornero sono troppo giovane per andare in pensione. Forse non ha pensato che sono anche troppo vecchio per trovare lavoro». A parlare è Roberto R., cittadino livornese che, dopo aver lavorato per 39 dei suoi 58 anni, ha visto sfumare il tanto desiderato sogno della pensione per una manciata di mesi. Un traguardo spostato ai 67 anni: un'eternità per chi, come lui, dall'estate scorsa non ha più né un'occupazione, né la possibilità di accesso agli ammortizzatori sociali. Roberto è un volto, uno dei tanti che si nascondono dietro ai numeri dei cosiddetti “esodati non salvaguardati”. Un termine, quello di “esodato”, che fino al 2011 in pratica neanche esisteva, ma che è diventato tremendamente di attualità con la riforma pensionistica del ministro Elsa Fornero. Esodato è chi, tra i 50 e i 60 anni, è uscito a vario titolo dal posto di lavoro prima di aver raggiunto l'età della pensione. È chi ha firmato accordi sindacali o accordi economici con i datori di lavoro, contando di poter accedere in breve tempo al trattamento pensionistico, per vedere poi allungato il periodo di attesa con la riforma del 2011. Nei giorni scorsi alcune migliaia di lettere, inviate dall’Inps e previste da un decreto del governo, hanno consentito a una parte degli esodati, chiamati “salvaguardati”, di percepire la pensione secondo le vecchie regole. Ma il problema, come testimonia la vicenda di Roberto, è ben lontano dall’essere risolto. Se per un terzo degli esodati sarà certificato il diritto alla pensione, per gli altri questo si allontana inesorabilmente nel tempo. Nella sua "prima vita" Roberto era un tecnico che lavorava per la multinazionale Alcatel, compagnia con sede a Parigi, che produceva componenti hardware e software per le telecomunicazioni. «Sono entrato in azienda a 18 anni - racconta - ci sono rimasto per trenta». «Alcatel - prosegue - era ben radicata in Italia. Il boom di internet e telefonia garantiva condizioni di stabilità e sicurezza». Con la crisi della telefonia fissa del secondo millennio, però, le cose cambiano. «Alcatel - ricorda Roberto - dal 2003 esternalizzò alcuni servizi. Così sono stato “trasferito” in una ditta di dimensioni minori, la Seam Spa, anch'essa specializzata in impianti e apparecchi telefonici». La Seam si prende in carico circa 400 persone. Roberto è uno degli ultimi a formalizzare il passaggio da Alcatel. Di per sé non è un cambio sconveniente, perché ai dipendenti sono garantiti stessi contributi e stessa retribuzione. «Ma c'era il sentore - precisa Roberto - che dietro l’operazione si nascondessero scenari preoccupanti». Le impressioni negative si rivelano azzeccate: dopo quattro anni, la Seam chiude i battenti. Roberto si trova a fare prima un anno di cassa integrazione, poi tre anni di mobilità. Da qui comincia la seconda vita di Roberto. Gli ammortizzatori sociali si sono esauriti l'estate scorsa. Dal luglio del 2012 non prende un euro. Né di stipendio, né di pensione. «Nel 2008, quando firmai gli accordi, mi dissero di stare tranquillo, perché rientravo nei parametri, previsti dalla legge 223/1991, che mi avrebbero permesso di andare in pensione entro pochi mesi dal termine della mobilità. Poi, quando mancava circa un mese, ho scoperto che, a causa della riforma Fornero, avrei dovuto aspettare i 67 anni per il trattamento pensionistico». La riforma del governo Monti, oltre ad alzare età pensionabile e a inasprire i requisiti, ha fissato una serie di paletti. «Secondo le nuove regole - sottolinea Roberto - avrei dovuto maturare i 40 anni di contributi entro la mobilità per sperare di accedere alla pensione. Io mi sono fermato, si fa per dire, a 39». A un passo dai quarant’anni lavorativi, a un passo dai sessant'anni di età. Per una manciata di mesi, in entrambi i casi, Roberto resta fuori da ogni possibile salvaguardia. «Per la riforma - commenta amaro - mi resta una sola possibilità: aspettare i 67 anni per godere di un diritto che, con la vecchia norma, avevo ampiamente acquisito». Roberto si trova da mesi nel "limbo della disperazione": troppo giovane per andare in pensione, troppo vecchio per trovare una nuova occupazione. «Guardo spesso le offerte di lavoro. Tra un po' per spazzare per terra devi conoscere tre lingue e saper usare il computer. La maggior parte delle richieste prevede esperienza nel settore e un'età massima dei candidati». «Ditemi voi - si sfoga - anche un solo nome di un'azienda disposta in questo momento a assumere un uomo di 58 anni». «Sono stressato - confida Roberto - non ne posso più di questa situazione di totale confusione e incertezza». Poi prova a guardare il bicchiere mezzo pieno: «Mia moglie lavora, abbiamo finito di pagare il mutuo e mio figlio abita da solo». «Meno male - dice con ironia - altrimenti sarei dovuto andare a fare le rapine per sopravvivere». Poi torna serio: «Non prendo un euro dal luglio scorso. Il mio non è un caso singolo: come me ci sono migliaia di persone in tutta Italia». «Prima - rivela Roberto - mi vergognavo a farmi vedere in giro senza far nulla, per una questione di dignità. Mi è sempre piaciuto lavorare, l'ho sempre fatto volentieri». «Ora - conclude - sono solo esasperato pensando al futuro. Ho maturato un diritto che non mi sarà riconosciuto se non tra quasi 10 anni. Il resto, ormai, non conta più nulla».
 

1 commento:

  1. Quei mascalzoni di governo si vantano, così, di aver salvato l'Italia e il futuro dei giovani, mentre si "salvaguardavano le loro spalle" facendosi nominare senatore a vita ed incassando sostanziosi stipendi. Vergogna!!!!!!

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