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lunedì 13 gennaio 2014

Gnecchi PD: creare forme di solidarietà ed equità previdenziale


Iniziative volte all’introduzione di un prelievo straordinario sui redditi da pensione superiori ad un determinato importo
Maria Luisa Gnecchi
(1-00258)
Damiano, Marchi, Albanella, Baruffi, Bellanova, Boccuzzi, Casellato, Faraone, Cinzia Maria Fontana, Giacobbe, Gregori, Gribaudo, Incerti, Madia, Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Simoni, Zappulla, Taricco, Carra
La Camera,
   premesso che:
     a partire dagli anni ’90 il sistema pensionistico italiano è stato interessato da una serie di interventi, volti a garantirne l'equilibrio e la sostenibilità di lungo periodo, quali: il decreto legislativo n. 503 del 1992 (cosiddetta riforma Amato), inteso a stabilizzare il rapporto tra la spesa previdenziale e il prodotto interno lordo, con l'incremento dell'età pensionabile (65 anni per gli uomini, 60 per le donne, con una contribuzione minima di 20 anni) e l'introduzione di forme di previdenza complementare e integrativa; la legge n. 335 del 1995 (cosiddetta riforma Dini), che ha segnato il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo – applicato ai soggetti che avessero iniziato a lavorare dal 1o gennaio 1996, mantenendo, invece, il sistema retributivo per coloro che avessero maturato al 31 dicembre 1995 almeno 18 anni di lavoro – e introdotto il sistema misto, per coloro che avessero maturato, alla medesima data, meno di 18 anni di lavoro; la legge n. 449 del 1997 (cosiddetta riforma Prodi), che innalzava i requisiti d'età per l'accesso alla pensione di anzianità e con la quale venivano equiparate le aliquote contributive dei fondi speciali di previdenza ed eliminate alcune condizioni riconosciute ai lavoratori durante il periodo di transizione al sistema contributivo; la legge n. 243 del 2004 (cosiddetta riforma Maroni), che ha elevato l'età anagrafica per il pensionamento di anzianità (60 anni per tutti a decorre dal 2008, fermo restando il requisito contributivo 35 anni) e ha disposto la riduzione da 4 a 2 delle cosiddette finestre di uscita; la legge n. 247 del 2007 (cosiddetta riforma Damiano), che ha disposto una modifica dei requisiti per il pensionamento di anzianità (strutturandolo in maniera più graduale), con ciò introducendo, dal 1o luglio 2009, il «sistema delle quote», ulteriormente rivisto con i successivi decreti legge nn. 98 del 2011 e 138 del 2011; da ultimo, l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetta manovra Fornero), che segna il passaggio al sistema contributivo pro rata per tutti dal 1o gennaio 2012, innalza ulteriormente il livello minimo di età pensionabile (portandola, a regime, a 66 anni) e abolisce il previgente sistema delle quote per il pensionamento anticipato, con un considerevole aumento dei requisiti contributivi (42 anni per gli uomini e 41 anni per le donne) e l'introduzione di penalizzazioni economiche per chi comunque accede alla pensione prima dei 62 anni;
    pur avendo reso il sistema previdenziale italiano uno dei più rigorosi nel panorama europeo ed internazionale, la successione in poco più di venti anni di otto interventi di riforma è sintomatica dell'assenza di un chiaro disegno organico;
    il sistema previdenziale deve essere costantemente monitorato, per garantirne la sostenibilità e, soprattutto, per assicurare ai giovani un ammontare della pensione che consenta loro una vecchiaia dignitosa, mettendolo, al contempo, al riparo dal rischio che ne siano utilizzate le risorse verso esigenze di cassa o di copertura del debito pubblico;
    la legge di riforma n. 247 del 2007, l'unica ad aver trovato consenso dopo un lungo confronto con le parti sociali, aveva posto le basi per affrontare organicamente le criticità del sistema pensionistico, sia rispetto alla sostenibilità finanziaria, sia per approntare idonee misure in grado di garantire alle nuove generazioni un tasso di sostituzione non inferiore al 60 per cento dell'ultima retribuzione, a tal fine tenendo conto:
     a) delle dinamiche delle grandezze macroeconomiche, demografiche e migratorie che incidono sulla determinazione dei coefficienti medesimi;
     b) dell'incidenza dei percorsi lavorativi, anche allo scopo di verificare l'adeguatezza degli attuali meccanismi di tutela delle pensioni più basse e di proporre meccanismi di solidarietà e garanzia per tutti i percorsi lavorativi, nonché di proporre politiche attive che possano favorire il raggiungimento di un tasso di sostituzione al netto della fiscalità non inferiore al 60 per cento, con riferimento all'aliquota prevista per i lavoratori dipendenti;
     c) del rapporto intercorrente tra l'età media attesa di vita e quella dei singoli settori di attività;
     tali aspetti sono stati del tutto elusi proprio dall'ultimo intervento legislativo del 2011, che ha irrigidito irragionevolmente il sistema e prodotto il grave, e ancora irrisolto, fenomeno dei cosiddetti esodati, peraltro durante la più grave crisi economico-finanziaria dal dopoguerra, con tassi di disoccupazione crescenti e drammatici, specie per la componente giovanile e femminile, con punte di vera e propria emergenza sociale in alcune aree del Mezzogiorno;
    da qualche tempo si è tornati a discutere, non sempre in modo appropriato, della questione delle cosiddette «pensioni d'oro»; in particolare, l'articolo 12, comma 4, dell'atto Senato n. 1120 (disegno di legge di stabilità per il 2014), ripropone un contributo di solidarietà, per il periodo 2014-2016, sui trattamenti pensionistici obbligatori nella misura del 5 per cento per le fasce di importo superiori a 150.000 euro lordi annui e fino a 200.000 euro, del 10 per cento per le fasce superiori a 200.000 euro e fino a 250.000 euro e del 15 per cento per le fasce superiori a 250.000 euro. Le somme derivanti dalle trattenute restano acquisite dalla gestione previdenziale che eroga il trattamento;
    al riguardo, va ricordato come in materia di trattamenti peggiorativi con effetto retroattivo, la Corte costituzionale abbia escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla «cristallizzazione» normativa – riconoscendo, quindi, al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali – purché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente;
    in tale ottica, sono state considerate costituzionalmente plausibili misure di solidarietà interna al sistema previdenziale, con contributi a carico dei più fortunati e a favore dei lavoratori e dei pensionati più deboli (ordinanza n. 22 del 2003, confermata dall'ordinanza n. 160 del 2007);
    al contrario, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2013, ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011, il quale introduceva un contributo di perequazione, a decorrere dal 1o agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, pari al 5 per cento per gli importi da 90.000 a 150.000 euro lordi annui, del 10 per cento per la parte eccedente i 150.000 euro e del 15 per cento per la parte eccedente i 200.000 euro, configurando tale contributo come misura di natura tributaria e, quindi, da commisurare alla capacità contributiva ai sensi dell'articolo 53 della Costituzione, in violazione del principio di uguaglianza e dei criteri di progressività, dando vita ad un trattamento discriminatorio, trattandosi «di un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. L'intervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi»;
    nel rispetto di tali principi, vanno individuati gli strumenti più efficaci per assicurare maggiore equità al sistema previdenziale, con particolare riferimento al fenomeno delle «pensioni d'oro», termine troppo spesso applicato a situazioni reddituali non certo di particolare «privilegio» economico, e tenendo conto del fatto che la maggioranza degli assegni pensionistici, oltre il 91 per cento, è al di sotto della soglia delle cinque volte il trattamento minimo, mentre solo l'1,13 per cento del totale dei trattamenti corrisposti è superiore a 10 volte il trattamento minimo;
    sebbene possa essere auspicabile un contributo di solidarietà sui redditi più elevati, indipendentemente dalla tipologia, se ci si deve ancora una volta riferire alle pensioni, vanno presi in considerazione quei redditi da pensione superiori oltre un certo numero di volte al trattamento minimo; va, tuttavia, evitata ogni forma di surrettizio «scontro generazionale», come se tutte le pensioni calcolate con il sistema retributivo fossero un costo generale per la collettività e, al tempo stesso, va recuperato lo spirito della legge n. 247 del 2007, anche attraverso misure che consentano di recuperare la solidarietà fra le generazioni e permettano di realizzare una redistri- buzione della ricchezza e la garanzia di prestazioni pensionistiche dignitose alle future generazioni,impegna il Governo:
a favorire l'adozione di misure che, nel rispetto dei principi indicati dalla Corte costituzionale, creino le condizioni per realizzare forme di solidarietà ed equità previdenziale attraverso l'istituzione di appositi fondi all'interno dei diversi enti previdenziali, alimentati con contributi di importo crescente al crescere del trattamento pensionistico, applicati su quelli di importo superiore a dodici volte il trattamento minimo, da destinare a interventi in favore dei pensionati e dei lavoratori più deboli e per contribuire alla realizzazione di un sistema di prestazioni pensionistiche dignitose per le future generazioni;
   a valutare l'assunzione di iniziative volte a modificare i criteri di calcolo dei coefficienti di trasformazione di cui all'articolo 1, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, nel rispetto degli andamenti e degli equilibri della spesa pensionistica di lungo periodo e nel rispetto delle procedure europee, che tengano conto:
     a) delle dinamiche delle grandezze macroeconomiche, demografiche e migratorie che incidono sulla determinazione dei coefficienti medesimi;
     b) dell'incidenza dei percorsi lavorativi, anche al fine di verificare l'adeguatezza degli attuali meccanismi di tutela delle pensioni più basse e di proporre meccanismi di solidarietà e garanzia per tutti i percorsi lavorativi, nonché di proporre politiche attive che possano favorire il raggiungimento di un tasso di sostituzione al netto della fiscalità non inferiore al 60 per cento, con riferimento all'aliquota prevista per i lavoratori dipendenti;
    c) del rapporto intercorrente tra l'età media attesa di vita e quella dei singoli settori di attività;
    a valutare la possibilità di assumere iniziative per aumentare la misura della «quattordicesima» prevista dal Governo Prodi per le pensioni basse, al fine di compensare la perdita del potere d'acquisto delle pensioni, che si è particolarmente aggravata in questi anni di crisi economica.

 Seduta del 25 novembre 2013

Seduta del 8 gennaio 2014

(Leggi)
 

2 commenti:

  1. POCHE CHIACCHIERE........ BAMBOLE ,,,,,,,,,,, NON SE NE PUO' PIU' .........il piatto piange !!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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  2. Nel suddetto articolo,
    illustrato dall'on M.L.Gnecchi ,
    viene ribadita la sentenza pronunciata
    dalla Corte Costituzionale N.822/1988,
    che configura INCOSTITUZIONALE
    la "riforma" pensioni monti/fornero ,
    con applicazioni RETROATTIVA,
    conseguenza dei cosiddetti esodati,
    senza lavoro,senza reddito,senza pensione.
    RISTABILIRE LO STATO DI DIRITTO COSTITUZIONALE !!!!!!!



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